IL SOGNO DEGLI DEI

Il sogno degli dèi ( Der Traum von den Göttern). Scritto nel febbraio 1914. Prima pubblicazione senza commento introduttivo (del 1924) in “Jugend” (Monaco), 1914.

 



Premessa

Sono passati ormai dieci anni dallo scoppio della guerra mondiale. Fra i molti ricordi che suonano da monito a quei tempi, si trovano in tutto il mondo anche numerosi casi di presentimenti, profezie, sogni premonitori e visioni collegati alla guerra. Tali esperienze sono oggetto di parecchie speculazioni e io sono ben lungi dal pretendere di collocarmi fra i tanti veggenti e profeti del conflitto! Nell’agosto del 1914 rimasi sorpreso e inorridito dagli avvenimenti al pari di chiunque altro. Tuttavia, al pari di miglia di persone, ho intuito la nuova catastrofe imminente, e all’incirca otto settimane prima che iniziasse la guerra, ebbi un sogno molto singolare, che trascrissi già alla fine di giugno del 1914. In realtà, la presente annotazione non si può più definire un resoconto testuale, fedele alla lettera, di quel sogno, poiché quel che ne uscì fu una breve creazione di fantasia. Il nucleo essenziale, comunque, la comparsa del dio della guerra e del suo seguito, non fu il frutto di una mia invenzione consapevole, ma vera e propria esperienza onirica.
Non a scopo di curiosità, ma in virtù del fatto che a qualcuno potrebbero offrire lo spunto per serie riflessioni, pubblico ora qui di seguito quelle mie annotazioni del giugno 1914.

Camminavo solo e inerme, e ovunque vedevo ogni cosa diventare buia e informe, e cercavo e correvo per scoprire dove mai fosse fuggita tutta la luminosità. Mi trovai dinanzi a una costruzione recente, con le finestre che risplendevano, e sopra le porte ardeva una luce chiara come il giorno; entrai in un portone e giunsi in una sala illuminata. Si erano qui riuniti molti uomini, che sedevano silenziosi e assorti, essendo venuti per cercare conforto e luce dai sacerdoti della scienza.
Su un palco di fronte agli astanti stava un sacerdote della scienza, un uomo tranquillo, vestito di nero, che parlava con voce chiara e dolce, pacata e suadente, davanti al numeroso uditorio. Davanti a lui, però, si trovano raffigurate su chiari pannelli le immagini di molte divinità, e in quel momento egli si fermò proprio davanti al dio della guerra, raccontando come un tempo, in epoche remote, questo dio fosse nato dai bisogni e dai desideri degli uomini di allora, che non avevano ancora riconosciuto l’unità di tutte le forze dell’universo. No, quegli uomini del passato vedevano sempre solo il particolare e l’immediato, e per questo motivo avevano creato una divinità specifica per il mare e una per la terraferma, una per la caccia e una per la guerra, una per la pioggia e una per il sole. E così aveva avuto origine anche il dio della guerra, e il servitore della saggezza ci illustrò per bene e con chiarezza dove fossero state erette inizialmente le sue effigi e quando si fosse incominciato a rendergli sacrifici, finché poi, con la vittoria della conoscenza, questo dio era diventato superfluo.

Con un gesto della sua mano, il dio della guerra cadde e sparì, mentre al suo posto subentrò sul pannello l’immagine del dio del sonno, anch’essa fu oggetto di spiegazione, ahimè fin troppo breve, perché avrei volentieri ascoltato ancora a lungo parlare di questo incantevole dio. La sua immagine svanì e venne rimpiazzata da quella del dio della ebbrezza, del dio delle delizie dell’amore e delle dee dell’agricoltura, della caccia e della vita domestica. Ciascuna di queste dee brillò per forma e bellezza peculiari quale saluto e riflesso dei remoti stadi giovanili dell’umanità; ognuna venne presentata e di ognuna fu spiegato come mai fosse diventata ormai da tempo superflua; e mentre un’immagine via l’altra si spegneva e spariva, dentro di noi lo spirito celebrava ogni volta un piccolo, soddisfatto trionfo, mentre allo stesso tempo il cuore provava compassione e dispiacere. Alcuni, tuttavia, ridevano senza sosta e ogni volta che l’immagine di un dio si spegneva davanti alle parole dotto, applaudivano al grido di: “Via quella roba!”.

Neanche la nascita e la morte, come apprenderemmo con le orecchie tese, necessitavano più di particolari emblemi, né l’amore o l’invidia, né l’odio o l’ira, poiché negli ultimi tempi l’umanità si era stancata di qualsivoglia divinità e aveva scoperto che non esistevano singole energie e attributi, né nell’anima umana né al centro della terra o dei mari, ma piuttosto un grande antagonismo di un’unica forza primordiale, di cui si imponeva ora, quale prossimo grande compito dello spirito umano, ricercarne l’essenza. Nel frattempo, vuoi a motivo dello svanire delle immagini, vuoi per altri motivi a me ignoti, la sala era sprofondata sempre più nell’oscurità e nel crepuscolo, tanto da farmi capire che anche qui, in questo tempio, non brillava per me nessuna pura ed eterna fonte, ragion per cui decisi di fuggire da questo edificio e andare in cerca di luoghi più radiosi.

Ma prima ancora che la mia decisione si fosse trasposta nella realtà vidi il crepuscolo nella sala farsi ancor più fosco, e i presenti incominciarono a diventare irrequieti, a gridare e a spintonarsi come pecore spaventate da un improvviso temporale, e nessuno era più intenzionato a prestare ascolto alle parole del saggio. Un’angoscia e un’afa orrende erano calate sulla folla, di cui udivo i gemiti e le grida, mentre gli uomini si accalcavano rabbiosamente verso le uscite. L’aria si riempì di polvere, divenne spessa come vapore sulfureo ed ebbe la meglio su ogni cosa, ma dietro gli alti finestroni si vedeva agitarsi, come durante un incendio, un inquieto e fosco rossore.
Persi i sensi e rimasi steso a terra, mentre un’infinità di fuggiaschi mi calpestava con i suoi piedi.
Quando mi svegliai e mi sollevai su mani sanguinanti, mi trovai solo in una casa vuota e abbattuta le cui pareti si staccavano l’una dall’altra minacciando di crollare sopra di me. In lontananza udivo impazzare indistintamente strepiti, tuoni e rumori terribili, e l’aria che si presentava alla vista attraverso le pareti squarciate sussultava come un volto dolorante e insanguinato. Quell’afa soffocante era però sparita.

A questo punto strisciai fuori dal tempio della sapienza andato distrutto e vidi metà della città in fiamme, mentre il cielo notturno era attraversato da colonne di fuoco e fumo. Qua e là, fra le macerie dei fabbricati, giacevano esseri umani senza vita, tutt’intorno era silenzio e potevo percepire gli scoppi e il sibilo dei mari di fiamme in lontananza, ma dietro ancora, da un’enorme distanza, udivo un selvaggio ululato di paura, quasi che tutti i popoli della terra si fossero levati in un urlo o gemito immane.

È la fine del mondo, pensai, e non ne ero affatto meravigliato come se avessi atteso da tempo proprio quel momento. Dal centro della città in fiamma che stava per crollare a terra, tuttavia, vidi ora avanzare verso di me un fanciullo: con le mani in tasca, saltellava quasi a passo di danza ora su questa, ora sull’altra gamba, in maniera elastica e piena di gioiosa vitalità, poi si fermò e lanciò un fischio a regola d’arte: era, quello, il nostro fischio d’intesa dei tempi della scuola e il fanciullo era il mio amico Gustav suicidatosi ai tempi dell’università. Di colpo tornai anch’io un fanciullo dodicenne come lui, e la città in fiamme e il rombo lontano e l’ululante mugghiare della tempesta tutt’attorno nel mondo deliziava ora a meraviglia le nostre orecchie vigili. Ora era tutto a posto, e l’incubo tetro nel quale avevo vissuto cosi tanti anni disperati era sparito e sepolto.
Gustav mi indicò con un sorriso un castello e un’alta torre che proprio in quel momento stavano crollando laggiù. Che quella roba tramontasse pure! Non era certo un peccato. Si potevano costruire palazzi nuovi e più belli. Grazie a Dio, Gustav era tornato! Ora la vita aveva di nuovo un senso.

Dall’enorme nuvola levatasi sopra il crollo degli sfarzosi palazzi che noi guardavamo entrambi impazienti e silenziosi, da quella nube di polvere uscì un essere mostruoso: alzò in aria un capo divino e braccia enormi, avanzando vittorioso nel mondo fumigante. Era il dio della guerra, così come l’avevo visto presentare nel tempio della scienza. Ma era vivo e gigantesco, e il suo volto fiammeggiante sorrideva fiero e baldanzoso come un fanciullo tronfio. Senza una parola, ci accordammo all’instante di inseguirlo, e come trasportati da ali lo seguimmo rapidi e decisi oltre la città e l’incendio nella sconfinata notte agitata dalla tempesta, alla cui vista i nostri cuori palpitarono d’estasi.

Giunto in cima alla collina, il dio della guerra si fermò cantando vittoria e scrollandosi il suo tondo scudo, quand’ecco che da ogni parte del globo terrestre si levarono in lontananza grandi e sacre figure e avanzarono verso di lui in tutta la loro grandezza e maestosità: dèi e dee, demoni e semidei. Arrivarono il dio dell’amore, librato a mezz’aria, come pure il vacillante dio del sonno, e la dea della caccia, esile e severa, e gli dèi tutti senza fine; e avendo io abbassato gli occhi, accecato com’ero dalla nobiltà delle loro figure, mi avvidi che non ero più solo insieme al mio caro amico, ma che insieme a lui e a me, in quella notte, una nuova umanità tutt’intorno si era inginocchiata al ritorno degli dèi.