Sull’università degli artisti (per artisti)
Non direi che uno studente frequenta l’università per imparare a fare arte.
Se gli strumenti storici e teorici gli vengono presentati in modo concreto, ciò non vuol dire che saranno poi i suoi propri elementi per il fare artistico.
Uno studente di arte frequenta l’istituzione per confrontare le sue idee con gli altri, per confermare o disdire ciò che lo ha incentivato al mondo della creazione.
Frequentando l’università, lo studente sviluppa il suo processo creativo.
L’istituzione, quindi è ciò che promuove questo sviluppo.

Ci sono delle figure che possono indirizzare lo studente alla concretizzazione del lavoro o dell’opera artistica;
ma non si può pensare che un professore (essendo magari artista anche lui) possa insegnare l’atto di pensiero stesso del fare artistico.
Allora che cosa vuol dire frequentare una facoltà che non insegna il fare stesso che l’ha creata?
Direi che la cosa più importante di una facoltà di arte sono le persone che la frequentano.

Il processo artistico di uno studente cresce dal costante confronto con gli altri. Non si può pensare ad un artista rinchiuso nel suo studio così come non si può pensare ad uno studente di arte con il naso tra i libri. Il confronto crea una piattaforma in cui si porgono le diverse motivazioni, le idee, le credenze ma soprattutto i diversi bagagli culturali. La facoltà di arte offre lo spazio in cui accade la realizzazione e la presentazione dei diversi interessi di ognuno.
Ma più in là di questo, l’università di arte segna certe dinamiche culturali della città stessa in cui si è. Per questo motivo dovrebbe promuovere l’uscita della piattaforma creata al suo interno.

Non dico che il suo dovere sia quello di promuovere delle figure che lavorano dentro, piuttosto di promuovere attività culturali importanti per la crescita dello studente.
In questo senso penso che l’idea del campus universitario abbia un ruolo ben definito dentro la città perché condiziona la vita dello studente in questa crescita. Ma una facoltà con una fascia oraria rigida non riuscirà mai a coinvolgere lo studente totalmente dentro le dinamiche dell’arte stesso. Sono capitate delle volte in cui diventa più importante il dopo lezione al bar piuttosto che nell’aula. C’è l’esempio particolare di Martin Kippenberger che portava i suoi studenti a fare colazione piuttosto che restare dentro l’istituzione.

E’ così che la conferenza tenuta da Derrida “L’università senza condizioni” concentra delle idee interessanti per analizzare il mondo universitario ma soprattutto la relazione di essa con gli studi umanistici.
Prima di tutto, senza condizione perché essere all’università vuole dire avere la possibilità della libertà di critica, ovvero al diritto incondizionato alla decostruzione. Libertà di decostruire la storia del concetto di uomo, la storia stessa della nozione di critica, la forma e autorità della questione e la forma interrogativa del pensiero.
Diritto, però di farlo affermativamente e performativamente: PRODUCENDO DEGLI EVENTI.

Non si parla quindi di una trasmissione di sapere bensì di una fede performativa, una credenza,
una decisione, un impegno pubblico e una responsabilità etico-politica.


DOMANDE
1. ha mai pensato al suo lavoro come azione performativa piuttosto che come mera trasmissione di sapere?


MARTEDI' 16 NOVEMBRE
Ana