SU ANDY WARHOL

 

Andy Warhol, La filosofia di Andy Warhol, Milano, RCS, 1999/2004


(pag. 11)
Mi sveglio e chiamo B.
B è chiunque mi aiuti ad ammazzare il tempo.
B è chiunque ed io sono nessuno. B ed io.
Ho bisogno di B perché non posso stare solo. Eccetto quando dormo. In questo caso non posso stare con nessuno.

(pag. 17)
“Io non mi rado: non sudo. E non cago neanche” ho detto io. Chiedendomi che cosa avrebbe detto B a quel punto.
“Devi essere pieno di merda allora”, fa B. “Ah ah ah”.
“Dopo che mi sono controllato allo specchio, scivolo nella mia BVD (diffusa marca di biancheria intima. In questo caso si fa particolare riferimento ad una maglietta.). La nudità è una minaccia per la mia esistenza”.
“Non per la mia” dice B. “Sono giusto qui completamente nuda e guardo le smagliature sulle tette. In questo momento sto guardando la cicatrice dell’ascessoche avevo sullo sterno. E ora guardo la cicatrice sulla gamba di quando a sei anni sono caduta in giardino”.
“E che cosa dire delle mie cicatrici?”.
“Le tue cicatrici?” Fa B. “Te lo dico io delle tue cicatrici. Credo che hai prodotto Frankenstein solo per mettere le tue cicatrici sui cartelloni. Hai fatto lavorare le tue cicatrici. Perché no, voglio dire? Sono la cosa migliore che possiedi perché sono la prova di qualcosa. Deve essere bello possedere la prova”.
“E di che cosa sono la prova ?”.
“Che ti hanno sparato. È stato l’orgasmo più grande della tua vita”.
“Che cosa è successo ?”
“Ti ricordi come eri imbarazzato quando le suore in ospedale ti hanno visto senza le tue ali? E hai ricominciato a collezionare cose. Le suore avevano ridestato il tuo interesse per i francobolli, come quando eri bambino o giù di lì. Ed anche per le monete”.
“Ma non mi hai detto cosa era successo”. Volevo che B me lo scandisse. Se qualcun altro ne parla, sto attento, ascolto le parole e penso che forse è tutto vero.
“Eri proprio lì per terra e Billy Name vicino a te piangeva. E tu continuavi a dirgli di non farti ridere perché ti faceva veramente male”.
“E poi... ? E poi... ?”
“Eri in una camera del reparto di terapia intensiva, a ricevere cartoline e regali da tutti, me compresa, ma non mi lasciavi venire a trovarti perché avevi paura che ti rubassi le pillole. E dicevi che avvicinarsi tanto alla morte era come avvicinarsi alla vita, perché la vita non è niente”.
“Si, si, ma come era successo?”.
“La fondatrice della Società per l’Eliminazione del Maschio voleva che tu pubblicassi un suo scritto, tu non eri interessato alla faccenda, e lei arrivò al tuo studio un pomeriggio. C’era molta gente e tu stavi parlando al telefono. Non la conoscevi molto bene e lei venne fuori dall’ascensore e cominciò a sparare. Tua madre era veramente sconvolta. Tu ensavi che sarebbe morta. Tuo fratello, quello che fa il prete, fu veramente favoloso. Venne su in camera tua e ti fece vedere come si ricama. Glielo avevo insegnato io nel corridoio!”.
E così che mi hanno sparato allora ?
Per qualche motivo l’idea di B ed io a ricamare… “Dopo il trucco, sono gli abiti che fanno l’uomo”, dico. “Io credo nelle uniformi”.
“Io amo le uniformi! Perché se non c’è niente dentro, non sono certamente gli abiti a fare l’uomo. È meglio portare sempre le stesse cose e sapere che piaci alla gente per come sei e non e non per come ti fanno i vetiti. Ad ogni modo è più eccitante vedere dove vive la gente che vedere cosa si mette. Cioè, è meglio vedere i vestiti appesi alle sedie piuttosto che ai corpi. Si dovrebbero tenere i vestiti appesi fuori. Non si dovrebbe nascondere nulla, eccetto quello che vuoi che tua madre non veda. Questo è l’unico motivo per cui ho paura di morire”.
“Perché?”.
“Perché mia madre arriverebbe qua e troverebbe il vibratore e troverebbe nel mio diario quelle cose che ho scritto di lei”.