SU PIERRE RIVIE'R

 

A cura di M. Foucault, Io, Pierre Riviér avendo sgozzato mia madre, mia sorella e mio fratello…, Giulio Einaudi editore, Torino, 2000


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Nel giugno del 1835 un giovane contadino normanno, Pierre Riviér, sgozza una sorella, un fratello e la madre per «liberare» il padre dalle persecuzioni della moglie. Perché?

(pag. 53)

Spiegazione in dettaglio dell’avvenimento occorso il 3 giugno ad Aunay, villaggio della Fauctrie, scitta dall’autore di questione.

Io Pierre Riviér, avendo sgozzato mia madre, mia sorella e mio fratello, e volendo far conoscere quali sono i motivi che mi hanno condotto a quest’azione, ho scritto tutta la vita che mio padre e mia madre hanno condotto insieme durante il loro matrimonio. Sono stato testimone della maggior parte dei fatti, che sono scritti verso la fine di questa storia, per quanto riguarda gli inizi, li ho sentiti raccontare da mio padre quando ne parlava coi suoi amici, e inoltre con sua madre, con me e con quelli che ne avevano notizia. Dopodiché dirò come mi sono risolto a commettere questo crimine, quel che pensavo allora qual era la mia intenzione, dirò anche qual era la vita che conducevo tra la gente, dirò quel che mi passò nella mente dopo aver fatto quest’azione, la vita che ho condotto e i posti dove sono stato dopo questo crimine fino al mio arresto e quali furono le soluzioni che presi. Tutto questo lavoro sarà stilato molto grossolanamente, poiché non so che leggere e scrivere; ma purchè si intenda quel che voglio dire, è questo che chiedo, e tutto ho redatto il meglio che posso.

(pag. 132)

Il processo

Amavo molto mio padre, le sue disgrazie mi toccavano sensibilmente. L’abbattimento in cui lo vidi immerso gli ultimi tempi, la sua tristezza, le pene continue che pativa, tutto questo mi toccò vivamente. Tutte le mie ideasi portarono su queste cose e vi si fissarono. Concepii l’orrendo progetto che ho eseguito; ci pensai prima pressappoco per un mese. Vidi mio padre come fosse tra le mani di cani arrabbiati o di barbari contro cui dovevo impiegare le armi. La religione proibiva tali cose, ma ne dimenticai le regole; mi sembrò anzi che Dio mi avesse destinato per questo, e che avrei esercitato la sua giustizia. Conoscevo le leggi umane, le leggi della polizia, ma pretendevo di essere più saggio di loro. Le guardavo come ignobili e mostruose. Avevo letto nella storia romana, e avevo visto che le leggi dei rimani davano al marito diritto di vita e di morte sulla moglie e i figli. Volli sfidare le leggi; mi sembrò che sarebbe per me una gloria; che mi sarei immortalato morendo per mio padre. Mi raffiguravo i guerrieri che morivano per la loro patria e per il loro re, il valore degli allievi del Politecnico, alla presa di Parigi nel 1814. dicevo tra me:quelli là morivano per sostenere il partito di un uomo che non conoscevano e che neppure li conosceva, che non aveva mai pensato a loro; ed io morirò per un uomo che mi ama e mi predilige. L’esempio di Chatillon, che resse da solo fino alla morte il passaggio di una strada ove abbondavano i nemici per prendere il suo re; il coraggio di Eleazar, uno dei fratelli Maccabei, che uccise un elefante ove pensava ci fosse il re nemico, benché sapesse che sarebbe stato soffocato sotto il peso di quest’animale; l’esempio di un generale romano, di cui non ricordo il nome, che, nella guerra contro i Latini, si prodigò fino alla morte per sostenere il suo partito, tutte queste cose mi passavano nella testa e mi spingevano a fare la mia azione. L’esempio di Henri de Larochejaquelain, che lessi negli ultimi tempi, mi sembrò essere in stretto rapporto con quel che mi concerneva. Considerai la sua arringa ai soldati al momento della battaglia: “Se avanzo, - disse. – seguitemi; se indietreggio, uccidetemi; se muoio, vendicatemi”. L’ultima opera che lessi era una storia di naufragi. Vidi che, quando i marinai mancavano di viveri, facevano il sacrificio di qualcun tra loro, che mangiavano per salvare il resto dell’equipaggio. Pensavo tra me: “anch’io mi sacrifico per mio padre”. Tutto sembrava invitarmi a questa azione, persino il pensiero della redenzione. Pensavo anzi che fosse più facile da comprendere. Dicevo: “Nostro Signore Gesù Cristo è morto sulla croce per salvare gli uomini, per riscattarli dalla schiavitù del demonio. Era Dio: poteva dunque perdonar loro per subire queste cose; ma io non posso liberare mio padre se non morendo per lui”. Presi dunque ad ucciderli tutti e tre. Le prime due, perché si accordavano tra loro per far soffrire nio padre. Quanto al piccolo, avevo due ragioni: l’una perché amava mia madre e mia sorella e l’altra, perché temevo che uccidendo solo le altre due, mio padre pur avendone un grande orrore, continuasse a rimpiangermi sapendo che ero morto per lui. Sapevo che amava questo bambino, che aveva dell’intelligenza. Pensai tra me: avrà un tale orrore di me, che si rallegrerà della mia morte, e quindi, esente da rimpianti, vivrà più felice.
Avendo dunque preso queste funeste risoluzioni, mi disposi di metterle in esecuzione. Ebbi dapprima l’intenzione di scrivere tutta la vit di mio padre e di mia madre; pressappoco come è scitta qui di mettere all’inizio un annuncio del fatto, e alla fine le ie ragioni di perpetrarlo, e le brighe che avevo intenzione di attaccare con la giustizia che sfidavo; che mi immortalavo, e poi di commettere la mia azione, di andare a portare il mio scritto alla posta, e poi di prendere un fucile che avrei caricato in anticipo, e di uccidermi. Ma ben presto presi un’altra risoluzione; pensai che dopo il crimine mi sarei recato a Vire, che mi sarei fatto prender dal procuratore del Re, poi avrei fatto le mie dichiarazioni, e che morivo per mio padre: che si aveva un bel sostenere le donne, che questo non trionferebbe; che mio padre sarebbe ormai tranquillo. Pensavo anche che avrei detto: “Un tempo si videro delle Giaeli contro dei Sirara, delle Giuditte contro degli Oloferne, delle Charlotte Corday contro dei Marat; ora dovranno essere degli uomini a ricorrere a questa mania. Sono le donne che comandano oggidì. Questo bel secolo che si dice dei lumi; questa nazione, che sembra aver tanto gusto per la libertà e la gloria, ubbidisce alle donne, i romani erano più civilizzati; gli Uroni, gli Ottentotti e gli Algonchini, questi popoli che dicono idioti, lo sono molto di più. Loro non hanno mai avvilito la forza”. Pensai che l’occasione era giunta di innalzarmi; che il mio nome avrebbe fatto scalpore nel mondo intero; che con la mia morte mi sarei coperto di gloria, e che, nei tempi a venire le mie idee sarebbero state adottate.
Pensavo anche che, siccome dovevo andare davanti ai giudici a sostenere le mie opinioni, bisognava che facessi questa azione con gli abiti della domenica, per partire per Virenon appena fosse perpretata. Andai a far arrotare la roncola la domenica 24 maggio, da gibin La forge, maniscalco di Aunay…
Il sabato successivo, vedendo mio padre e mia nonna partiti al borgo di Aunay, e i tre che avevo risolto di uccidere in casa, presi prontamente gli abiti della domenica; ma quando fui pronto, mia madre e mio fratello erano andati al borgo. Mi allontanai qualche istante. Al mio ritorno li trovai tutti e tre riuniti in casa; ma non potei decidermi ad ucciderli. Dissi tra me allora: “Non sono che un vigliacco; non potrò mai far nulla”.

Il 2 giugno, presi la mia risoluzione. Mi decisi a fare il malato per non andare ad arare l’indomani 3. quel giorno, quando fu l’ora d’alzarsi, feci finta di vomitare e dissi che non potevo andare a lavoro. Circa un’ora dopo, mi alzai e dissi che stavo un po’ meglio. Presi di nascosto i miei abiti della domenica. Li portai in una delle case chiamata la casa di Clinot; poi mi vestii da domenica…

Venne mezzogiorno, mio fratello Jules era tornato da scuola. Approfittando di quest’occasione presi la roncola. Entrai nella casa di mia madre e commisi questo crimine orrendo, cominciando da mia madre… poi mia sorella… e il mio fratellino. Dopodiché raddoppiai i colpi!…
Marie, suocera di Nativel, entrò: - Ah! Che fai, - mi disse. – Toglietevi di mezzo, - le dissi, - o faccio altrettanto con voi-. Poi uscii nel cortile, e rivolgendomi a Nativel: - Michel, - gli dissi, - state attento che mia nonna non si faccia del male; possono vivere felici ora. Io muoio per render loro pace e tranquillità.
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Gettai la roncola in un campo di grano e me ne andai. Partndo sentii indebolirsi quel coraggio e quell’idea di gloria che mi animavano, e quando arrivai nei boschi, ritrovai completamente la ragione. “Ah! È possibile, - dissi tra me? – Mostro che non sono altro. Sventurate vittime! È possibile che abbia fatto questo?no, non è che un sogno. Ah! È sin troppo vero! Abissi spalancatevi sotto i miei passi! Terra, inghiottitemi!…” Piansi; mi rotolai per terra; mi coricai.