La prima immagine di cui mi parlò era di tre bambini su una strada in Islanda, nel 1965. Mi disse che per lui era l'immagine della felicità e che inoltre aveva cercato diverse volte di collegarla ad altre immagini, senza riuscirci. Mi scrisse: un giorno dovrò metterla da sola all'inizio di un film con un lungo pezzo di nero; se non vedono la felicità nell'immagine, almeno vedranno il nero.
Scrisse: sono appena tornato da Hokkaido, l'isola settentrionale. Giapponesi ricchi che hanno fretta prendono l'aereo, gli altri prendono il traghetto: attesa, immobilità, frammenti di sonno. Curiosamente tutto ciò mi fa pensare ad una guerra passsata o futura: treni di notte, raid aerei, rifugi antiatomici, piccoli frammenti di guerra inseriti nella quotidianità. Gli piaceva la fragilità di quei momenti sospesi nel tempo. Memorie la cui sola funzione è di lasciarsi dietro nient'altro che memorie. Scrisse: sono stato in giro per il mondo diverse volte e ora solo la banalità mi interessa. In questo viaggio ne ho seguito le tracce con l'implacabilità di un cacciatore. All'alba saremo a Tokio.
Era solito scrivermi dall'Africa. Paragonava il tempo africano a quello europeo, e anche a quello asiatico. Disse che nel XIX secolo il genere umano si era posto il problema dello spazio, e che la grande questione del XX secolo era la coesistenza di diversi concetti di tempo. Comunque, sapevi che c'erano degli emus all'Ile de France?
Mi scrisse che nelle Isole Bijagos sono le ragazze giovani che scelgono il loro fidanzato.
Mi scrisse che nei sobborghi di Tokio c'è un tempio consacrato ai gatti. Spero di poterti dare l'idea della semplicità, della mancanza di affettazione di questa coppia che era venuta a mettere un'iscrizione di legno nel cimitero dei gatti cosicchè la loro gatta Tora sarebbe stata protetta. Non era morta, soltanto scappata. Ma nel giorno della sua morte nessuno avrebbe saputo come pregare per lei, come intercedere con la morte chiamandola con il suo proprio nome. Così dovettero venire là, entrambi, sotto la pioggia, per celebrare il rito che avrebbe riparato la ragnatela del tempo dov'era stata lacerata.
Mi scrisse: dovrò trascorrere la mia vita cercando di capire la funzione del ricordare, che non è il contrario del dimenticare, piuttosto il suo parallelo. Noi non ricordiamo, noi riscriviamo la memoria così come la storia è riscritta. Come si può ricordare la sete?
Non gli piaceva indugiare sulla povertà, ma, in ogni cosa desiderava mostrare che c'erano anche le 4-Fs del modello giapponese. Un mondo pieno di vagabondi, di esuli, di coreani. Troppo falliti per potersi permettere droghe, preferivano ubriacarsi con la birra o con il latte fermentato. Questa mattina a Namidabashi, a venti minuti dagli splendori del centro, un personaggio si è preso la sua rivincita sulla città dirigendo il traffico agli incroci. Il lusso per loro sarebbe una di quelle grandi bottiglie di sake che vengono versate sopra le tombe per i funerali.
Pagò un giro in un bar a Namidabashi. E' il genere di posto che consente alle persone di guardarsi negli occhi con uguaglianza; la soglia sotto la quale ogni uomo è buono e lo sa.
Mi raccontò del molo a Fogo, nelle isole di Capo Verde. Da quanto tempo stanno aspettando la nave, pazienti come sassolini ma pronti a salpare? Sono un popolo di girovaghi, di navigatori, di viaggiatori del mondo. Si formano riproducendosi su queste rocce che i portoghesi usarono come scalo merci per le loro colonie. Un popolo del nulla, un popolo del vuoto, un popolo verticale. Sinceramente, hai mai sentito niente di più stupido della regola che insegnano nelle scuole di cinema di non guardare in macchina?
Era solito scrivermi: il Sahel non è solo ciò che si mostra di esso quando è tropo tardi; è una terra in cui la società filtra dentro come l'acqua in una barca che affonda. Gli animali resuscitati per il carnevale a Bissau saranno pietrificati di nuovo, non appena il nuovo attacco avrà trasformato la savana in un deserto. Questa è una condizione di sopravvivenza che i paesi ricchi hanno dimenticato con una eccezione: il Giappone. Il mio costante andare e venire non è una ricerca di contrasti è un viaggio ai due poli estremi della sopravvivenza.
Mi parlò di Sei Shonagon, una signora in attesa della principessa Sadako all'inizio dell'XI secolo, nel periodo Heian. Sappiamo sempre dove si fa la storia. I signori governavano e usavano complicate strategie per combattersi l'un l'altro. Il potere reale era nelle mani di una famiglia di reggenti ereditari; la corte dell'imperatore era diventata niente più di un luogo di intrighi e giochi intellettuali. Ma imparando a trarre una sorta di conforto malinconico dalla contemplazione delle più piccole cose, questo piccolo gruppo di oziosi lasciò un segno sulla sensibilità giapponese molto più profondo del mediocre urlare dei politici. Shonagon aveva una passione per le liste: la lista delle cose eleganti, quella delle cose che affliggono, o anche quella delle cose non funzionali. Un giorno ebbe l'idea di fare una lista delle cose che fanno battere il cuore. Un buon principio che seguo quando sto filmando; mi inchino al miracolo economico, ma ciò che desidero mostrarti sono le celebrazioni di quartiere.
Mi scrisse: tornando indietro attraverso la costa di Chiba, pensai alla lista di Sei Shonagon, di tutti quei segni uno solo deve indicare l'accelerazione del battito del cuore, un solo nome. Per noi, il sole non è tale a meno che non sia radioso, e una primavera non è abbastanza primavera se non è limpida. C'è un modo per dire barca, pietra, foschia, rana, cornacchia, grandine, airone, crisantemo, che le include tutte. I giornali sono stati riempiti recentemente con la storia di un uomo di Nagoya. La donna che amava morì lo scorso anno e lui si buttò nel lavoro - una consuetudine giapponese - come un pazzo. Sembra che abbia fatto un'importante scoperta in elettronica. E dopo, nel mese di maggio, si suicidò. Dissero che non sopportava la parola primavera.
Mi descrisse il suo ricongiungimento con Tokio: come un gatto che è tornato a casa da una vacanza, immediatamente comincia ad ispezionare i luoghi familiari. Corse fuori per vedere se ogni cosa era là dove avrebbe dovuto essere: il gufo Ginza, la locomotiva Shimbeshi, il tempio della volpe in cima al grande magazzino Mitsukoshi che trovò invasa da ragazzine e cantanti rock. Mi raccontò che ora erano le ragazzine che facevano e disfacevano le stelle del rock, i produttori rabbrividivano di fronte a loro. Mi raccontò che una donna sfigurata si tolse la maschera di fronte ai passanti graffiandoli se non la trovavano bella. Ogni cosa lo interessava. Lui, che era quello a cui non interessava un accidente dei Dodgers o del Daily Double, chiedeva con fervore come fosse andato Chiyonofuji nell'ultimo torneo di sumo. Si informava dulle sorti della famiglia imperiale, del principe alla corona, del più vecchio bandito di Tokio che appariva regolarmente in televisione per insegnare la bontà ai bambini. Non aveva mai provato queste semplici gioie: di ritornare in un paese, in una casa, in una famiglia. Ma dodici milioni di abitanti anonimi potevano sopperire a questo.
Scrisse: Tokio è una città solcata dai treni, annodata con cavi elettrici, che mostra le sue vene. Dicono che la televisione rende le persone illetterate; per quanto mi riguarda, non ho mai visto così tante persone leggere per strada. Forse leggono soltanto per strada, o fanno finta di leggere - questi uomini gialli. Fisso i miei appuntamenti a Kinokunya, la grande libreria a Shinjuko. Il genio grafico che permise ai giapponesi di inventare il cinemascope dieci secoli prima del cinema vero e proprio, compensa un po' il triste destino delle eroine dei fumetti, vittime di scrittori di storie senza cuore e di una censura castrante. Qualche volta fuggono e puoi ritrovarle sui muri. L'intera città è un fumetto; è un pianeta manga. Come si può non riconoscere la scultura che va dal barocco plastico alla centrale di Stalin? E le gigantesche facce con gli occhi rivolti ai lettori di fumetti, immagini più grandi delle persone, voyerizzanti i voyer.
Al tramonto la megalopolis si rompe in villaggi, con i rurali cimiteri all'ombra delle banche, con le stazioni e i templi. Ogni distretto di Tokyo diventa a sua volta un ordinato e piccolo paese, riposando tra i grattacieli.
Il piccolo bar di Shinjuku mi ricordò di un flauto indiano il cui suono può essere sentito solamente da chiunque lo suoni. Avrebbe potuto urlare se fosse stato in un film di Godard o un'opera di Shakespeare, "Dove dovrebbe essere questa musica?"
Dopo lui mi ha detto che aveva mangiato al ristorante a Nishi-nippori dove il Signor Yamada pratica la difficile arte del "action-cooking". Ha detto che guardando con attenzione i gesti del Signor Yamada e il modo di mescolare gli ingredienti si potrebbe meditare utilmente su certi concetti fondamentali della pittura, della filosofia e del karate. Ha sostenuto che il Signor Yamada aveva nelle sue umili maniere l'essenza dello stile, e conseguentemente spettava a lui decidere di usare il suo pennello invisibile per scrivere nel primo giorno a Tokyo le parole "la fine".
Ho passato la giornata di fronte alla mia televisione-quella scatola di memoria. Ero a Nara con i sacri cervi. Stavo facendo una fotografia senza sapere che nel XV sec. Basho aveva scritto: "Il salice vede l'immagine dell'airone capovolta."
Lo spot pubblicitario diventa una specie di haiku per l'occhio, usato in questo campo per atrocità occidentali; non capire si aggiunge ovviamente al piacere. Per un momento lievemente allucinatorio ho avuto l'impressione che stessi parlando giapponese, ma era un programma culturale sulla NHK su Gèrard de Nerval.
8:40, Cambodia. Da Jean Jacques Rousseau a Khmer Rouge: coincidenza o senso della storia?
In Apocalypse Now, Brando disse poche frasi definitive e incomunicabili: "L'orrore ha un volto e un nome....devi far diventare l'orrore tuo amico." Per gettar via l'orrore che ha un nome e un volto devi dargli un altro nome ed un altro volto. I film d'orrore giapponesi hanno la bellezza inquietante di certi cadaveri. Qualque volta ci si sbalordisce di tanta crudeltà. Uno cerca le sue risorse nella lunga familiarità con la sofferenza delle persone asiatiche, che richiede che persino il dolore sia decorato. E dopo viene il premio: i mostri si presentano, Natsume Masako si alza; la bellezza assoluta ha anche un nome e un volto.
Però più guardi la televisione giapponese......più senti che sta guardando te. Perfino i giornali televisivi portano testimonianze del fatto che la funzione magica dell'occhio è al centro di tutte le cose. Sono tempi d'elezione: i candidati vincitori causano un'oscuramento all'occhio vuoto di Daruma-lo spirito della fortuna- mentre perdono candidati- tristi ma degni- portano i loro singolo-occhio Daruma.
Le immagini più difficili da immaginare sono quelle europee. Ho guardato le immagini di un film la cui colonna sonora sarà aggiunta più tardi. Mi sono serviti sei mesi per la Polonia.
Allo stesso tempo, non ho difficoltà con i terremoti locali. Ma devo ammettere che la scossa della notte scorsa mi ha aiutato enormemente a comprendere un problema.
La poesia è la nascita dell'insicurezza: ebrei erranti, giapponesi tremanti; vivere su un tappeto da sotto il quale la natura beffarda è sempre pronta ad uscire, li ha abituati a muoversi in un mondo di apparenze: fragile, fugace, revocabile, fatto di treni che volano da pianeta a pianeta, di samurai che combattono in un immutabile passato. E' ciò che viene chiamato "la precarietà delle cose".
Le ho fatte tutte. Tutte le strade verso i cosiddetti spettacoli serali per adulti. La stessa ipocrisia delle strisce di fumetti, ma è un'ipocrisia codificata. La censura non è la mutilazione dello spettacolo, è lo spettacolo stesso. Il codice è il messaggio. Indica l'assoluto nascondendolo. E' quello che le religioni hanno sempre fatto.
Quell'anno, un nuovo volto apparse fra i grandi che incendiavano le strade di Tokio: quello del Papa. Tesori che non avevano mai lasciato il Vaticano furono mostrati al settimo piano del grande magazzino a Sogo.
Mi scrisse: curiosità ovviamente, e il luccichio di spionaggio industriale negli occhi - li immagino dar valore, nel lasso di tempo di due anni, ad una più efficiente e meno costosa versione di Cattolicesimo - ma c'è anche la fascinazione associata al sacro, anche quando appartiene a qualcun altro.
Dunque a quando una mostra di immagini sacre giapponesi al terzo piano di Macy's come si può vedere allo Josenkai nell'isola di Hokkaido? All'inizio si può sorridere di questo posto che combina un museo, una cappella ed un sexy shop. Come sempre in Giappone, si ammira il fatto che i muri tra i domini siano così sottili, che uno nello stesso respiro può contemplare una statua, comprare una bambola gonfiabile, e porgere alla dea della fertilità la piccola offerta che sempre accompagna il suo mostrarsi. Esibizioni la cui franchezza farebbe risultare incomprensibili gli stratagemmi televisivi, se non dicesse allo stesso tempo che un sesso è visibile solo a condizione di essere staccato da un corpo.
Uno vorrebbe credere in un mondo prima della caduta: inaccessibile alle complicazioni di un Puritanesimo la cui falsa ombra è stata imposta dall'occupazione americana. La gente che si riunisce ridendo intorno alla fontana votiva e la donna che la tocca con gesto amichevole, condividono la stessa innocenza cosmica.
La seconda parte del museo - con le coppie di animali impagliati - vorrebbe poi essere il paradiso terrestre così come l'abbiamo sempre sognato. Non sono così sicuro... l'innocenza degli animali potrebbe essere un trucco per accogliere la censura, ma forse anche lo specchio di una riconciliazione impossibile. Ed anche senza il peccato originale questo paradiso terrestre potrebbe essere un paradiso perduto. Nel lucente splendore degli animali domati di Josenkai leggo la crepa fondamentale della società giapponese, la crepa che separa gli uomini dalle donne. Nella vita sembra mostrarsi in due modi soltanto: violenta schiavitù o discreta malinconia - assomigliando a Sei Shonagon - che i giapponesi esprimono in un'unica intraducibile parola.
Quindi questa discesa dell'uomo al livello delle bestie - contro la quale si avventano i padri della chiesa - diventa qui la sfida delle bestie all'amarezza delle cose, ad una malinconia i cui colori si possono leggere in alcune righe di Samura Koichi: "Chi ha detto che il tempo cura tutte le ferite? Sarebbe meglio dire che il tempo cura tutto tranne le ferite. Con il tempo, la sofferenza della separazione perde i propri reali limiti. Con il tempo, il corpo desiderato scompare in fretta, e se il corpo desiderante ha già smesso di esistere per l'altro, quello che rimane è una ferita... disincarnata".
Mi scrisse che il segreto giapponese - quello che Lévi Strauss aveva denominato l'amarezza delle cose - implicava la facoltà di comunione con le cose, entrare dentro di esse, essere loro stesse per un momento. Era normale che a loro volta fossero come noi: mortali e immortali.
Mi scrisse: l'animismo è un concetto familiare in Africa, è meno sovente applicato in Giappone. Come dovremmo chiamare dunque questo credo diffuso, secondo cui ogni frammento della creazione ha la propria invisibile controparte? Quando costruiscono una fabbrica o un grattacielo, cominciano con una cerimonia per placare la divinità che possiede il territorio. C'è una cerimonia per i pennelli, per gli abachi, e addirittura per aghi arrugginiti. Ce n'è una il 25 settembre per il riposo delle anime delle bambole rotte. Le bambole sono impilate nel tempio Kiyomitsu consacrato a Kannon - la dea della compassione - e sono bruciate in pubblico.
Guardo i partecipanti. Penso che le persone che accompagnavano i piloti kamikaze avevano lo stesso sguardo sul volto.
Mi scrisse che le immagini della Guinea Bissau dovrebbero essere accomapagnate da musica delle isole di Capo Verde. Questo sarebbe il nostro contributo all'unità sognata da Amilcar Cabral.
Perché un paese così piccolo - e così povero - dovrebbe interessare il mondo? Fecero ciò che poterono, si liberarono e cacciarono i portoghesi. Traumatizzarono l'esercito portoghese a tal punto da far insorgere un movimento che rovesciò la dittatura e condusse a credere per un momento ad una nuova rivoluzione in Europa.
Chi si ricorda tutto ciò? La storia gettò le sue bottiglie vuote fuori dalla finestra.
Questa mattina ero sul dock a Pidjiguity, dove nel 1959 iniziò ogni cosa, dove le prime vittime della battaglia furono uccise. Potrebbe essere altrettanto difficile riconoscere l'Africa in questa nebbia plumbea come lo è riconoscere una battaglia nell'attività quasi fiacca dello scaricatore di porto tropicale.
Si dice che ogni leader del terzo mondo abbia enunciato la stessa frase il giorno dopo l'indipendenza: "Ora cominciano i veri problemi".
Cabral non ha mai avuto l'opportunità di dirlo: è stato assassinato prima. Ma i problemi sorsero, e si svilupparono, e stanno ancora andando avanti. Problemi non molto eccitanti per il romanticismo rivoluzionario: il lavoro, la produzione, la distribuzione, il superamento della stanchezza postbellica, le tentazioni di potere e privilegio.
Ah bene... dopotutto la storia sa solo di amaro per quelli che se l'aspettano ricoperta di zucchero.
Il mio problema personale è più specifico: come riprendere le donne di Bissau? Apparentemente, la funzione magica dell'occhio stava lavorando contro di me laggiù. Fu nei mercati di Bissau e di Capo Verde che potei osservarle di nuovo in parità: la vidi, lei mi guardò, sapeva che io la vedevo, abbassò lo sguardo, comunque in una posizione in cui è possibile agire senza essere tuttavia rivolta a me, e alla fine il vero sguardo, diretto, che durò un ventiquattresimo di secondo, la durata di un fotogramma.
Tutte le donne hanno dentro una tendenza, un pizzico di indistruttibilità. E il compito degli uomini è sempre stato quello di farglielo capire il più tardi possibile. Gli uomini africani sono bravi in questo compito tanto quanto gli altri. Ma dopo uno sguardo ravvicinato alle donne africane non scommetterei necessariamente sugli uomini.
Mi raccontò la storia del cane Hachiko. Un cane aspettava ogni giorno il suo padrone alla stazione. Il padrone morì e il cane, non sapendolo, continuò ad aspettare per tutta la sua vita. La gente si intenerì e gli portava del cibo. Dopo la morte del cane, una statua venne eretta in suo onore, di fronte alla quale vengono sempre posti sushi e torte di riso, sicchè la speranzosa anima di Hachiko non debba mai avere fame.
Tokio è piena di queste piccole leggende, e di questi animali intermediari, metaforici. Il leone Mitsukoshi si erge guardiano delle frontiere di quello che era un tempo l'impero del signor Okada - un grande collezionista di pitture francesi, l'uomo che affittò il castello di Versailles per celebrare il centesimo anniversario del suo grande magazzino.
Nell'area computer ho visto giovani giapponesi esercitare i muscoli del loro cervello come i giovani ateniesi alla Palaistra. Avevano una guerra da vincere. I libri di storia del futuro forse metteranno sullo stesso piano la battaglia dei circuiti integrati e Salamis ed Agincourt, ma con la volontà di onorare lo sfortunato avversario lasciandogli altri campi: la moda maschile di questa stagione è sotto il segno di John Kennedy.
Come una vecchia tartaruga votiva stazionata in un angolo di un campo, ogni giorno lui vedeva il signor Akao - il presidente del Partito Patriottico Giapponese - strombazzare dall'altezza del suo balcone traballante contro la congiura comunista internazionale. Mi scrisse: le automobili dell'estrema destra, con le loro bandiere e i megafoni, sono parte del paesaggio di Tokio - il signor Akao è il loro punto focale. Credo che avrà la sua statua come il cane Hochiko, a questo incrocio dal quale parte solo per profetizzare sui campi di battaglia. Era a Narita negli anni sessanta. Contadini che lottavano contro la costruzione di un aeroporto sulla loro terra, e il signor Akao che denunciava la mano di Mosca dietro qualsiasi cosa si muovesse.
Yurakucho è lo spazio politico di Tokio. Una volta vidi sacerdoti buddisti pregare per la pace in Vietnam in quel posto. Oggi giovani attivisti dell'ala destra protestano contro l'annessione delle Isole del Nord alla Russia. Qualche volta gli viene risposto che le relazioni commerciali del Giappone con l'abominevole occupante del Nord è mille volte meglio dell'alleanza americana, che sta sempre a lamentarsi di aggressione economica. Ah, niente è semplice.
Dall'altra parte la sinistra ha la parola. Il leader dell'opposizione cattolica coreana, Kim Dae Jung, rapito a Tokio nel '73 dalla gestapo sudcoreana, è minacciato da una sentenza di morte. Un gruppo ha cominciato uno sciopero della fame. Alcuni giovanissimi militanti stanno tentando di raccogliere firme di sostegno.
Sono tornato a Narita per il compleanno di una delle vittime della lotta: la manifestazione è stata irreale. Avevo l'impressione di trovarmi a Brigadoon, di svegliarmi 10 anni dopo in mezzo agli stessi giocatori, con gli stessi poliziotti inglesi in blu, gli stessi adolescenti con gli elmetti, gli stessi striscioni e lo stesso slogan: "Abbasso l'aeroporto". Solo una cosa era stata aggiunta: proprio l'aeroporto. Ma con un'unica pista di atterraggio e il filo spinato che lo soffoca, sembra più assediato che vittorioso.
Il mio amico Hayao Yamaneko ha trovato una soluzione: se le immagini del presente non cambiano, allora si cambiano le immagini del passato.
Mi ha mostrato le immagini degli scontri degli anni '60, elaborate con il suo sintetizzatore: immagini meno ingannevoli - dice con la convinzione di un fanatico- di quelle che vedi in TV. Almeno dichiarano di essere quello che sono: immagini, non la forma portatile e compatta di una realtà già di per sè inaccessibile. Hayao chiama il mondo della sua macchina la 'zona', un omaggio a Tarkovsky.
Ciò che Narita mi ha ridato come un ologramma frantumato, è stato un frammento intatto della generazione degli anni '60. Se amare senza illusioni significa ancora amare, posso dire di averla amata. È stata una generazione che mi ha spesso esasperato, dato che non ho condiviso la sua utopia di riunire in una lotta comune coloro che si ribellano contro la povertà e coloro che si ribellano contro la ricchezza. Ma si sentiva forte quella reazione intestina che una voce meglio impostata non saprebbe più come, o non oserebbe più, proferire.
Ho incontrato contadini che si sono conosciuti durante la lotta. Concretamente era fallita. Allo stesso tempo tutto ciò che avevano guadagnato nella loro comprensione del mondo, l'avrebbero guadagnata solo attraverso la lotta.
Lo stesso per gli studenti, alcuni di loro si sono massacrati sulle montagne nel nome della purezza rivoluzionaria, mentre altri hanno studiato il capitalismo così a fondo da combatterlo o da procacciarlo con i suoi migliori dirigenti. Come in ogni altro posto il movimento aveva i suoi particolari atteggiamenti e i suoi arrivisti, inclusi, e ce ne sono, coloro che hanno fatto carriera dal martirio. Ma ha portato con sè anche tutti coloro che hanno detto, come Che Guevara, che "tremavano di indignazione ogni volta che al mondo veniva commessa un'ingiustizia". Volevano dare una valenza politica alla loro generosità e la loro generosità ha superato la loro politica. Questo è il motivo per cui non accetterò mai che venga detto che la gioventù è sprecata nei giovani.
I giovani che si ritrovano ogni fine settimana a Shinjuku ovviamente sanno di non essere su un trampolino di lancio verso la vita, ma sono la vita stessa e stanno per essere divorati sul posto come bomboloni freschi.
È un segreto molto semplice. I vecchi cercano di nasconderlo e non tutti i giovani lo riconoscono. La bambina di 10 anni che ha buttato giù l'amica dal tredicesimo piano di un palazzo dopo averle legato le mani, perché aveva parlato male della squadra della sua classe, non l'aveva ancora scoperto. I genitori che chiedono un aumento del numero di linee telefoniche speciali per prevenire i suicidi dei bambini scoprono troppo tardi di avere tenuto nascosto questo segreto troppo bene. Il rock è il linguaggio internazionale per divulgare questo segreto. Un'altra cosa è peculiare a Tokyo.
Per il takenoko, 20 anni è l'età della pensione. Sono piccoli marziani. Vado a vederli ballare ogni domenica al parco di Yoyogi. Vogliono che le persone li guardino, ma sembrano non notare che la gente li guardi. Vivono in una dimensione parallela: una sorta di invisibile vetro d'acquario li separa dalla folla che attraggono, potrei passare un intero pomeriggio ad osservare la piccola ragazza del takenoko che impara - senza dubbio per la prima volta- le consuetudini del suo pianeta.
Oltre a quello portano medagliette come i cani, ubbidiscono ad un fischietto, la Mafia li minaccia e fatta eccezione di un solo gruppo composto da ragazze, è sempre un ragazzo che comanda.
Un giorno mi ha scritto: descrizione di un sogno. I miei sogni sono ambientati sempre più spesso nei grandi magazzini di Tokyo, nei tunnel sotterranei che si sviluppano parallelamente alla città. Un viso appare, scompare...Una traccia viene trovata, è perduta. Tutto il folklore dei sogni è così fortemente legato al luogo che il giorno successivo quando mi sveglio, mi rendo conto che continuo a cercare nel labirinto sotterraneo le presenze nascoste della notte precedente. Inizio a chiedermi se quei sogni siano veramente miei o se siano parte di una totalità, di un gigantesco sogno collettivo del quale l'intera città è la proiezione. Potrebbe bastare sollevare il ricevitore di uno di quei telefoni che sono in giro per poter ascoltare una voce familiare, o il battito di un cuore, quello di Sei-Shonagen ad esempio.
Ogni galleria porta ad una stazione; le stesse compagnie posseggono i negozi e le linee del treno portano il loro nome. Keio, Odakyu - tutti nomi di fermate. Il treno occupato da persone addormentate mette insieme tutti i frammenti dei sogni, crea un unico film da essi - il film definitivo. I biglietti del distributore automatico concedono l'accesso allo spettacolo.
Mi ha raccontato della luce di gennaio sulle scale della stazione. Mi ha raccontato che questa città dovrebbe essere decifrata come uno spartito; qualcuno potrebbe perdersi tra le grandi masse orchestrali e i dettagli accumulati. E ciò ha creato l'immagine più scontata di Tokyo: sovrappopolata, megalomane, inumana. Pensava di vedere cicli più impercettibili: ritmi, gruppi di visi intravisti passando, vari e precisi come gruppi di strumenti. A volte il paragone musicale coincide con la realtà; la scalinata della Sony al Ginza era veramente uno strumento musicale, ogni scalino una nota. Tutto stava bene insieme, come le voci di una fuga a suo modo complessa ma sufficiente per poterla afferrare e tenersi stretti a lei.
Gli schermi televisivi ad esempio da soli creavano un itinerario che a volte si concludeva in curve inaspettate. Era la stagione del sumo, e i fans che venivano a vedere l'incontro nelle sale più chic del Ginza erano i più poveri tra i poveri di Tokyo. Tanto poveri da non avere nemmeno la TV. Li ha visti arrivare, le anime morte di Namida-bashi con le quali aveva bevuto caffè in un'alba soleggiata- quante stagioni fa era successo?
Mi ha scritto: anche nelle bancarelle dove vendono pezzi di ricambio che alcuni alternativi utilizzano per fare gioielli c'è una partitura che rende Tokyo unica, una rarità che in Europa mi condanna ad un vero e proprio esilio acustico. Anche la musica dei videogiochi. Sono inseriti dentro dei tavoli. Puoi bere, mangiare e continuare a giocare. Arrivano fino alla strada. Ascoltandoli puoi giocare a memoria.
Ho visto nascere questi giochi in Giappone. Li ho incontrati successivamente in tutto il mondo, ma un dettaglio era differente. All'inizio il gioco era familiare: una specie di battaglia anti-ecologica nella quale l'idea centrale era quella di uccidere - non appena vedevi il bianco dei loro occhi - creature che erano o cani della prateria o foche, non ricordo. Ora ecco la variazione giapponese. Al posto delle creature, ci sono teste vagamente umane identificate da un'etichetta: in cima il presidente, di fronte a lui il vice e i direttori, in prima fila i capi reparto e il manager del personale. Il tizio che ho filmato- che stava facendo a pezzi la gerarchia con invidiabile energia, mi ha confidato che per lui il gioco non aveva nessun significato allegorico, stava effettivamente pensando ai suoi superiori. Questa è senza dubbio la ragione per cui il pupazzo che rappresentava il manager del personale, bastonato tanto spesso e così duramente, fosse fuori uso e fosse stato sostituito da una piccola foca.
Hayao Yamaneko inventa video giochi con la sua macchina. Per farmi piacere ci ha messo dentro i miei animali preferiti: un gatto e un gufo. È convinto che le strutture elettroniche siano le uniche che possano avere a che fare con i sentimenti, i ricordi e l'immaginazione. Si pensi all'Arsenio Lupin di Mizoguchi ad esempio o all'immaginario burakumin. Come si può affermare di voler rappresentare una categoria di giapponesi che non esiste? Ci sono già. Io li ho visti ad Osaka, impiegati per un giorno che dormivano in terra. Fin dal medioevo sono stati condannati a lavori sporchi e faticosi. Ma dall'era Meriji, ufficialmente più nulla li mette in disparte e il loro vero nome è una parola tabù che non può essere pronunciata. Sono non-persone. Come possono essere mostrati se non con non-immagini?
I videogiochi sono il primo passo di un piano che prevede che le macchine aiutino la razza umana, l'unico piano che offra un futuro all'intelligenza. Per il momento, l'inseparabile filosofia del nostro tempo è contenuta in Pac-Man. Mentre gli sacrificavo centinaia di yen non sapevo che avrebbe conquistato il mondo. Forse perché è la miglior metafora grafica del destino dell'uomo. Mette in una prospettiva reale l'equilibrio di potere tra l'individuo e la società. E ci dice in modo sobrio che anche se c'è dell'onore nel collezionare il maggior numero di attacchi vincenti, arriva sempre un fiasco.
Gli piaceva il fatto che fosse sempre il crisantemo ad essere presente ai funerali sia degli uomini che degli animali. Mi ha descritto la cerimonia tenuta allo zoo di Ueno in memoria degli animali morti durante l'anno. Per due anni di fila su questo giorno di lutto era stata gettata una nube di tristezza per la morte di un panda, per i giornali era una cosa ancora più irreparabile della morte di un primo ministro avvenuta negli stessi giorni. L'anno scorso le persone piansero davvero. Ora sembra si siano abituate e abbiano accettato il fatto che ogni anno la morte si porta via un panda come facevano i dragoni con le bambine nelle favole.
Ho sentito questa frase: "La spaccatura che separa la vita dalla morte non ci sembra così profonda come può esserlo agli occhi di un occidentale."
Ciò che ho letto spesso negli occhi di qualcuno che sta per morire è la sorpresa. Ciò che leggo ora negli occhi dei bambini giapponesi è la curiosità, come se stessero provando a guardare attraverso quella spaccatura - per poter comprendere la morte di un animale.
Sono tornato da un paese in cui la morte non è una spaccatura da attraversare ma una strada da seguire. Il grande antenato dell'Arcipelago delle Bijagòs ci ha descritto l'itinerario dei morti e come si muovono da isole a isole seguendo un rigoroso protocollo finché non raggiungono l'ultima spiaggia dove aspettano la nave che li porterà all'altro mondo. Se uno accidentalmente li incontrasse è imperativo il non poterli riconoscere.
Le Bijagòs fanno parte della Guinea Bissau. In un vecchio clip cinematografico, Amilcar Cabral dice addio alla riva con la mano; ha ragione, perché non la rivedrà mai più. Luis Cabral fece lo stesso gesto 15 anni dopo sulla canoa che ci stava riportando indietro.
La Guinea allora era diventata una nazione e Luis il suo presidente. Tutti quelli che si ricordano della guerra si ricordano di lui. È il fratellastro di Amilcar, nato da sangue misto guineano e capoverdiano, come lui uno dei membri fondatori di un partito piuttosto fuori dal comune, il PAIGC, che unendo i due paesi colonizzati in un unico movimento di lotta, spera di essere il precursore di una federazione dei due stati.
Ho ascoltato le storie di un vecchio combattente, che ha lottato in condizioni tanto disumane da aver pietà dei soldati portoghesi che dovevano sopportare la stessa sofferenza. Ecco cosa ho sentito. E anche tante altre cose che fanno vergognare di aver utilizzato con leggerezza - anche se inavvertitamente- la parola guerriglia per descrivere un modo di fare film. Una parola che a quel tempo era collegata a molti dibattiti teorici e anche a sanguinose sconfitte.
Amilcar Cabral fu il solo a portare avanti una guerriglia vittoriosa e non solo in termini di conquista militare. Conosceva il suo popolo, aveva studiato per un lungo periodo e voleva che ogni regione liberata fosse precorritrice di diversi tipi di società.
I paesi socialisti mandano armi per sostenere i combattenti. Le socialdemocrazie riempiono i negozi. Possa l'estrema sinistra perdonare la storia, ma se le guerriglie sono come i pesci nell'acqua è anche grazie alla Svezia.
Amilcar non si lasciava spaventare dalle ambiguità, conosceva le trappole. Scriveva: "E' come se fossimo sulla riva di un fiume con grandi onde e tempeste e ci fossero delle persone che tentano di attraversarlo e affogano, ma non possono andare da nessun'altra parte, devono attraversarlo."
Ora la scena si sposta a Cassaque: il 17 febbraio 1980. Ma per capire meglio si deve andare avanti nel tempo. Dopo un anno Luis Cabral, il presidente, finisce in prigione e l'uomo che si era commosso perché era stato appena decorato, il presidente Nino, prende il potere. Il partito si divide, guineani e capoverdiani si separano e si contendono l'eredità di Amilcar. Impareremo che dietro a questa cerimonia di promozione, che agli occhi dei visitatori ha perpetuato la fratellanza nella lotta, giace il seme dell'amarezza del dopo-vittoria e che le lacrime di Nino non esprimevano l'emozione di un ex-combattente, ma l'orgoglio ferito di un eroe che non si è sentito portato abbastanza in alto rispetto agli altri.
Sotto ognuno di questi volti un ricordo. E al posto di ciò che ci è stata tramandata come forgiata memoria collettiva, migliaia di ricordi di uomini che mettono in mostra le loro personali lacerazioni all'interno della grande ferita della storia.
In Portogallo, risorto a sua volta dall'onda di Bissau, Miguel Torga, che ha combattuto tutta la sua vita contro la dittatura ha scritto: "Ogni protagonista rappresenta solo se stesso; al posto di un cambiamento nella struttura sociale, cerca nell'atto rivoluzionario soltanto la sublimazione della sua stessa immagine."
Questo è il modo in cui i frangenti si ritirano. E così, prevedibilmente, si deve credere in una sorta di amnesia del futuro, che la storia distribuisce attraverso la pietà o il calcolo a coloro che recluta; Amilcar ucciso dai membri del suo stesso partito, le aree liberate cadute sotto il giogo di meschini e sanguinari tiranni liquidati a loro volta da un potere centrale per la cui stabilità ognuno ha pagato un tributo, fino ad arrivare al colpo di stato.
Così la storia va avanti tappando i propri ricordi come uno si tappa le orecchie. Luis esiliato a Cuba, Nino che scopre trame intrecciate contro di lui, possono essere entrambi citati per apparire davanti al tribunale della storia.
Non le interessa, non capisce nulla, ha solo un amico, quello di cui Brando parla in Apocalypse: l'orrore. E ha un nome e un volto.
Ti sto scrivendo tutto questo da un altro mondo, un mondo di apparenze. In un certo modo, i due mondi comunicano tra loro. Il ricordo è per uno ciò che la storia è per l'altro: un'impossibilità.
Le leggende nascono al momento del bisogno per decifrare l'indecifrabile. I ricordi devono fare i conti con i loro deliri, con i loro movimenti. Un istante bloccato brucerebbe come l'immagine di un film fermata davanti al calore del proiettore. La pazzia protegge come la febbre.
Invidio Hayao nella sua 'zona', gioca con i segni dei suoi ricordi. Li fissa con degli spilli e li decora come insetti che avrebbero volato al di là del tempo e che avrebbe potuto contemplare da un punto fuori dal tempo. L'unica eternità che ci è rimasta. Guardo le sue macchine. Penso ad un mondo nel quale ogni ricordo possa creare la sua leggenda.
Mi ha scritto che solo un film è stato capace di descrivere la memoria impossibile -memoria insana- Vertigo di Alfred Hitchcock. Nella spirale dei titoli vedeva il tempo coprire il campo sempre più vasto quanto più si distanziava, un ciclone nel quale i momenti presenti contengono senza movimento l'occhio.
Ha compiuto a San Francisco il suo pellegrinaggio in tutte le location del film: il fioraio Podesta Balocchi, dove James Stewart spia Kim Novak - lui il cacciatore, lei la preda- o era il contrario? Le tegole non sono cambiate.
Ho guidato su e giù per le colline di San Francisco, dove Jimmy Stewart, Scotty, ha seguito Kim Novak, Madeline. Sembra essere una questione di pedinaggio, di enigma, di un omicidio, ma in realtà è una questione di potere e libertà, di melanconia e di abbagliamento codificato così con cura dentro la spirale in cui ti puoi perdere, senza scoprire immediatamente che questa vertigine di spazio in realtà corrisponde per la vertigine del tempo.
Ha seguito tutte le tracce. Anche al cimitero presso la Missione Dolores dove Madeline venne a pregare presso una tomba di una donna morta da lungo tempo, che non avrebbe dovuto conoscere. Seguì Madeline - come Scotty ha fatto- al Museo della Legione d'Onore, davanti al ritratto di una donna morta che non avrebbe dovuto conoscere. E sul ritratto, come nei capelli di Madeline, la spirale del tempo.
Il piccolo Hotel vittoriano dove Madeline è scomparsa è esso stesso scomparso, è stato rimpiazzato dal cemento all'angolo di Eddy e Gough. D'altra parte la sequoia tagliata stava ancora nel bosco Muir. In quello Madeline tracciò la breve distanza tra due delle linee concentrche che misuravano l'età dell'albero e disse;"Qui sono nata e qui sono morta."
Ha ricordato un altro film nel quale questo passaggio è stato citato. La sequoia era quella nel Jardin des plantes a Parigi, e la mano indicò un luogo, al di là dell'albero , fuori dal tempo.
Il cavallo dipinto apresso San Juan Battista, il suo occhio che sembrava quello di Madeline: Hitchocock non ha inventato niente,stava tutto lì. Nella missione ha corso attraverso gli archi del lungomare come Madeline corse attraverso la sua morte. O era lei'
Da questa falsa torre -l'unica cosa che Hitchcock ha aggiunto- ha immaginato Scotty come il pazzo d'amore di tutti i tempitrovando impossibile viverecon la memoria senza falsificarla. Inventando un doppio di Madeline in un'altra dimensione di tempo, una zona che appartenesse solo a lui e attraverso la quale poter decifrare la storia indecifrabile che è cominciata al Golden Gate quando spinse Madeline fuori dalla Baia di s. Francisco, quando l'ha salvata dalla morte prima di gettarla indietro nella morte. O stava girando intorno da un'altra maniera.?
A San Francisco ho fatto un pellegrinaggio nelle location di un film che ho visto 19 volte. Nell'Islanda ho messo la prima pietra di un film immaginario. Quell'estate ho incontrato tre bambini in una strada e un vulcano è emerso dal mare. Gli astronauti americani vennero ad allenarsi, prima di volare sulla luna, in questo angolo di terra che la ricorda. Mi è sembrato immediatamente come una scenografia per un film fantascientifico: il paesaggio di un altro pianeta. O piuttosto no, lasciamo che sia il paesaggio del nostro pianeta per qualcuno che viene da un'altra parte, da molto lontano. Lo immagino muoversi lentamente, pesantemente, come la lava che si attacca al terreno. Tutto ad un tratto inciampa, ed il passo successivo è un anno dopo. Sta camminando su un piccolo sentiero, vicino alla costa olandese, lungo la riserva marina per uccelli.
Questo per un inizio. Adesso perché questo taglio nel tempo, questa connessione di memorie? Questo è tutto. Non può capire. Non è venuto da un altro pianeta, viene dal nostro futuro: il tempo dove il cervello umano ha raggiunto l'era di pieno utilizzo. Ogni cosa lavora per la perfezione, tutto quello che noi ci permettiamo di rimuovere inclusa la memoria. Conseguenza logica: il totale ricordo è la memoria anestetizzata. Dopo così tante storie di uomini che hanno perso la loro memoria, ecco la storia di uno che l'ha persa dimenticando e che - attraverso alcune peculiarità della sua natura - invece che mostrarsi orgoglioso del fatto e disprezzare l'umanità del passato e le sue ombre si rivolse prima con curiosità e in seguito con compassione a questo problema. Nel mondo dal quale proviene, per evocare una visione, per essere emozionato da un ritratto, per tremare al suono di una musica, possono essere solo i segni di una lunga e dolorosa preistoria. Egli vuole capire. Sente questa infermità del tempo come un'ingiustizia, e reagisce a quell'ingiustizia come Che Guevara, come la gioventù degli anni sessanta, con indignazione. E' un cittadino del terzo mondo del tempo. L'idea che l'infelicità sia esistita nel suo pianeta del passato è tanto insopportabile quanto per i giovani l'esistenza della povertà nel loro presente.
Naturalmente fallirà. Scopre che l'infelicità è tanto inaccessibile a lui quanto la povertà di un paese è inconcepibile per i bambini di un paese ricco. Ha scelto di abbandonare i suoi privilegi ma non può fare nulla riguardo ai privilegi che gli hanno permesso di scegliere. La sua unica rivalsa è precisamente quella che lo gettò in questa ricerca assurda: un ciclo di canzoni di Mussorgsky. Lo stanno ancora cantando nel quarantesimo secolo. Il loro significato è stato perduto e fu allora che per la prima volta ha percepito la presenza di quella cosa, non capì che aveva qualcosa a che fare con l'infelicità e la memoria, e attraverso la quale, lentamente, pesantemente, ha cominciato a camminare.
Naturalmente non ho mai fatto quel film. Non di meno sto collezionando gli scenari, inventando gli intrecci, mettendoci le mie creature preferite. Gli ho dato un titolo, veramente il titolo di quella canzone di Mussorgsky: Senza sole.
Il 15 maggio 1945, alle sette di mattina, in 380 secondi la fanteria americana attaccò una collina a Okinawa che venne rinominata "Dick Hill". Penso che gli stessi americani credessero di essere sul punto di conquistare il suolo giapponese, e non conoscevano affatto la civiltà Rynky. Non lo feci nemmeno io, eccetto per il fatto che le facce delle donne del mercato parlarono con me più di Gaguin che di Utamaro. Per secoli di sognante vassallaggio non si sono mosse dall'arcipelago. Dopo venne la stasi. E' una particolarità degli isolani il fatto di designare le donne come guardiane della memoria collettiva?
Ho imparato che - come a Bijagòs - si pensa che questa magica conoscenza sia stata trasmessa dalle donne. Ogni comunità ha la sua sacerdotessa che presiede a tutte le cerimonie tranne i funerali.
I Giapponeso difesero la loro posizione centimetro per centimetro. Alla fine del giorno i due mezzi plotoni formati dalle rimanenze della compagnia L erano arrivati soltanto alla metà della collina, una collina come quella in cui io ho seguito un gruppo degli abitanti del villaggio mentre andavo alla cerimonia di purificazione.
La noro comunica con gli dei dell'oceano, della pioggia, della terra, del fuoco. Tutti si inchinano davani alla sorella divina che il riflesso, nell'assoluto di una relazione privilegiata tra il fratello e la sorella. Perfino dopo la sua morte, la sorella conserva la sua predominanza spirituale.
All'alba gli americani si ritirarono. Le battaglie andarono avanti per oltre un mese, prima che l'isola chiedesse la resa e fecero cadere il mondo moderno. Ventisette anni di occupazione americana, il ristabilirsi di una sovranità controversa giapponese: a due miglia dalle corsie di bowling e dalle stazioni di benzina la noro continua il suo dialogo con gli dei. Quando se ne andrà il dialogo finirà. I fratelli non sapranno mai più che la loro sorella morta li sta guardando dall'alto. Mentre filamvo questa cerimonia, sapevo di essere presente alla fine di qualcosa. Le culture magiche che spariscono lasciano tracce ai propri successori. Questa non lascerà nulla; la rottura nella storia è stata troppo violenta.
Toccai quella crepa sulla cima della collina, come l'ho toccata al bordo della trincea dove duecento donne hanno usato granate per commetere suicidio nel 1945 piuttosto di cadere vive nelle mani degli americani. La gente si fa fotografare di fronte alla trincea. Accanto si vendono accendini a forma di granate come souvenirs.
Sulla macchina di Hayao la guerra assomiglia a lettere che vengono bruciate, lacerati in un fotogramma di fuoco. Il nome in codice di Pearl Harbor era Tora, Tora, Tora, il nome del gatto per il quale la coppia a Gokokuji stava pregando. Così tutto ciò è cominciato con il nome di un gatto pronunciato tre volte.
Fuori da Okinawa i kamikaze si tuffarono sulla flotta americana; sarebbero diventati una leggenda. Furono materiale più conveniente ovviamente delle unità speciali che sposero i loro prigionieri alla amara gelata della Manchuria e poi all'acqua bollente tanto per vedere cuanto velocemente la carne si separa dalle ossa.
Uno dovrebbe leggere le loro ultime lettere per imparare che i Kamikaze non erano tutti volontari, ne erano tutti spericolati samurai. Prima di bere il suo ultimo bicchiere di sakè Ryoji Uebara ha scritto: "Ho sempre pensato che il Giappone dovrebbe vivere libero per vivere eternamente. Può sembrare idiota dire questo oggi, sotto un regime totalitario. Noi pilota kamikaze siamo macchine, non abbiamo niente da dire, eccetto di elemosinare ai compatrioti di rendere il Giappone la grande nazione dei nostri sogni. Nell'aereo Io sono una macchina, un pezzo di matallo magnetizzato che si attacherà all'elemento portante del velivolo. Però una volta a terra sono un essere umano con sentimenti e passioni. Per favore scusate questi pensieri disorganizzati. Vi sto lasciando una immagine piuttosto malinconica, però nel profondo del mio cuore sono felice. Ho parlato francamente, perdonatemi."
Tutte le volte che lui tornava dall'Africa si fermava all'isola di Sal, che è difatto una roccia di sale in mezzo all'Atlantico. Alla fine dell'isola, oltre il villaggio di Santa Maria e il cimitero con le tombe dipinte, basta camminare sempre dritto per trovare il deserto.
Lui mi scrisse: "Ho capito le visioni. Improvvisamente tu sei nel deserto così come sei nella notte; qualsiasi cosa non è deserto non esiste. Non vuoi credere alle immagini che emergono.
Ti scrissi che ci sono emus nell'Isola di France? Questo nome -Isola di Francia- suona strano sull'isola di Sal. La mia memoria sovrappone due torri: una nelle rovine del castello di Montpilloy che servì come rifugio a Giovanna d'Arco, e il faro nella punta sudest di Sal, probabilmente uno degli ultimi fari ad olio.
Un faro nel Sahel sembra un collage fino a quando vedi l'oceano al bordo della sabbia ed il sale. Squadre di aerei transcontinentali ruotano su Sal. Il loro club porta a questa frontiera di nulla un piccolo pezzo di spiaggia che rende il resto ancora più irreale. Danno da mangiare ai cani parassiti che vivono sulla spiaggia.
Trovai i miei cani molto nervosi stanotte, loro stavano giocando con il mare come non li ho mai visti prima. Ascoltando Radio Hong Kong dopo capii: oggi era il primo giorno del nuovo anno lunare, e per la prima volta in sessanta anni el segno del cane trovò il segno dell'acqua.
Là fuori, undicimila miglia da qui, una singola ombra rimane immobile in mezzo al lungo movimento di ombre che la luce di gennaio getta sopra il terreno di Tokyo: l'ombra di Asakusa bonze.
Anche in Giappone l'anno del cane sta cominciando. I templi sono pieni di visitatori che vengono a lanciare le loro monete e preghare -in stile Giapponese- una preghiera che si infila nella vita senza interromperla.
Meditando alla fine del mondo nella mia isola di Sal in compagnia dei miei cani saltellanti ricordo quel mese di gennaio a Tokyo, o piutosto ricordo le immagini che ho filamto nel mese di gennaio a Tokyo. Hanno sostituito se stessi alla mia memoria. Sono la mia memoria. Mi chiedo come le persone ricordano cose che non filmano, non fotografano, non registrano. Come ha fatto l'umanità a riuscire a ricordare? Io lo so: ha scritto la Bibbia. La nuova Bibbia sarà un eterno nastro magnetico di un tempo che dovrà rileggersi costantemente, solo per sapere che è esistito.
Mentre aspettiamo l'anno quattromilauno e il suo totale richiamo, questo è ciò che ci offrono gli oracoli, che tiriamo fuori dalle loro lunghe scatole esagonali nell'anno nuovo: un po' più di potere sopra la memoria che corre di campo in campo- come Giovanna d'Arco. Un annuncio ad onde corte da radio Hong Kong ha catturato progetti riguardanti un isola di Capo Verde verso Tokyo, e la memoria di un preciso colore della strada rimbalza in un altro paese, un'altra distanza, un'altra musica, infinitamente.
Alla fine del cammino della memoria, gli ideogrammi dell'isola di Francia sono non meno enigmatici che il kanji di Tokyo nella miracolosa luce dell'anno nuovo. E' l'inverno indiano, come se l'aria fosse il primo elemento a emergere purificato dalle innumerevoli cerimonie con le quali i giapponesi lavano via un anno per entrare nel seguente. Un intero mese è sufficiente per loro per soddisfare tutte le faccende che devono al tempo, il più interessante essere acquistato al tempio di tenjin è l'uccello uso, che secondo una tradizione mangia tutte le bugie dell'anno che viene, e secondo un'altra li fa diventare verità.
Però ciò che dà colore alla strada a gennaio, ciò che la fa improvvisamente diversa, è l'apparizione del kimono. Nelle strade, nei negozi, negli uffici, anche alla borsa nel giorno d'apertura, le ragazze tirano fuori i loro kimono invernali con il collo di pelliccia. In quel momento dell'anno altri giapponesi possono benissimo inventare schermi ultra piatti, commettere suicidi con la motosega, o acquistare due terzi del mercato mondiale di semiconduttori. Bene per loro; tutto quello che vedi sono le ragazze.
Il quindici Gennaio è il giorno del raggiungimento della maturità: una celebrazione obbligatoria nella vita di una giovanne donna giapponese. Il governo della città distribuisce piccole borse piene di regali, agende, consigli: come essere un buon cittadino, una buona madre, una buona sposa. Quel giorno tutte le ventiduenni possono telefonare gratis alla loro famiglia, non importa dove in Giappone. Bandiera, casa e paese: questa è l'anticamera dell'età adulta. Il mondo del tekenoko e dei cantanti rock fugge via veloce come un razzo. Gli speakers spiegano cosa si aspetta la società da loro. Quanto tempo ci vorrà per dimenticare il segreto?
E quando tutte le celebrazioni sono finite resta soltanto da raccogliere tutte le decorazioni -tutti gli accessori della celebrazione- e bruciandoli, fare una celebrazione.
Questo è dondo-yaki, una benedizione Shinto delle macerie che hanno diritto all'immortalità- come le bambole a Ueno.
L'ultimo stato -prima della loro scomparsa- dell'emozione delle cose. Daruma -lo spirito monoculare- regna supremo alla cima del falò. L'abbandono deve essere una festa; la lacerazione deve essere una festa. E l'addio a tutto ciò che uno ha perso, rotto, usato, deve essere nobilitato da una cerimonia. E' il Giappone che può riempire il desiderio di quello scrittore francese che voleva il divorzio fosse un sacramento.
L'unica parte confusa di questo rituale era il cerchio di bambini che battono a terra coi loro lunghi pali. Ho soltanto una spiegazione, singolare -anche se per me potrebbe avere la forma di un piccolo servizio privato- che fosse per cacciare via le talpe.
Ed ecco da dove venivano i miei tre bambini d'Islanda e dove crebbero. Presi tutte le immagini di nuovo, aggiungendo una fine piuttosto nebbiosa, la cornice che trema sotto la forza del vento che ci batte addosso sulla scogliera: tutto ciò che ho tagliato per ordinare, dice meglio di tutto il resto di ciò che vidi in quel momento, perché io la tenevo davanti ai ,iei occhi, a lunghezza di zoom, fino al suo ultimo ventiquattresimo di secondo, la città di Heimaey si stendeva sotto di noi. E quando 5 anni dopo il mio amico Haroun Tazieff mi mandò il film che aveva appena girato nello stesso posto mi mancava solo il nome per imparare che la natura mette in scena il suo proprio dondo-yaki; il vulcano dell'isola si era risvegliato. Guardai le immagini, e fu come se l'intero anno '65 fosse stato coperto di cenere.
Così, bastava aspettare e il pianeta stesso mise in scena il lavorio del tempo. Vidi di nuovo quella che era stata la mia finestra. Vidi emergere tetti e balconi faigliari, la pietra miliare del cammino che prendo tutti i giorni, giù dalla scogliera dove avevo incontrato i bambini. Il gatto con le calze bianche che Haroun aveva considerato per il mio film, trovò il suo posto. E io pensai, che di tutte le preghiere che hanno riempito auesto viaggio la più cara era quella detta dalla donna Gotokuji, che diceva semplicemente al suo gatto Tora, "Gatto, ovunque tu sia, la pace sia con te".
E poi nei suoi giri il viaggio entrò nella "zona", e Hayao mi mostrò le immagini sulle quali c'era il muschio del tempo, liberate dalla bugia che ha prolungato l'esistenza di quei momenti inghiottiti dalla spirale.
Quando arrivò la primavera, quando ogni corvo annunciava il suo arrivo alzando il suo grido di mezzo tono, presi il treno verde della linea Yamamote e scesi alla stazione di Tokio, vicino all'ufficio centrale della stazione. Anche se la strada era vuota, aspettai al rosso del semaforo -stile giapponese- così da lasciare spazio per gli spiriti delle macchine incidentate. Anche se non aspettavo nessuna lettera, mi fermai allo sportello delle consegne, per onorare gli spiriti delle lettere perdute, e al banco delle lettere aeree per salutare gli spiriti delle lettere non spedite.
Presi le sembianze dell'insopportabile vanità dell'Ovest, che non ha mai smesso di previlegiare l'essere sul non-essere, quello che è detto a quello che si lascia non detto. Camminai lungo le piccole bancarelle dei venditori di vestiti. Sentii a distanza la voce di Mr. Arako che riverberava dagli altoparlanti...mezzo tono più alto.
Poi scesi nel seminterrato dove il mio amico -il maniaco- si riempie dei suoi graffiti elettronici. Finalmente il suo linguaggio mi tocca, perché parla a quella parte di noi che insiste a disegnare profili sui muri delle galere. Un pezzo di gesso per seguire i contorni di ciò che non è , o non è più, o non è ancora; ognuno di noi userà il disegno a mano per comporre la sua propria lista delle "cose che fanno battere il cuore il cuore" , per offrire,o per cancellare.
In quel momento la poesia sarà fatta da ognuno, e ci sarà emus nella "zona" .
Mi scrive dal Giappone. Mi scrive dall'Africa. Scrive che adesso possiamo raccogliere lo sguardo sulla faccia della donna del mercato di Praia che è durata solo la lunghezza di un frame.
Ci sarà un'ultima lettera?